mercoledì 6 luglio 2011

Davide Longo: non una recensione



Ho scoperto Davide Longo attraverso un'amica piemontese su Facebook: insegnante di inglese in Italia e ora insegnante di italiano in Texas.
La combinazione che mi ha permesso di avere L'uomo verticale sul comodino è quindi inconsueta: è l'illogicità della condivisione sociale della rete; quella a cui puoi dare un senso solo quando hai l'oggetto dell'incontro tra le mani.
Per lo stesso motivo il riferimento al libro sarà solo un accenno; perché non l'ho ancora finito. Sono a poco più della metà. Non m'interessa farne una recensione, sviscerarne i contenuti, trovarne le doppie letture.
Non m'interessa davvero finirlo prima di scrivere di Davide Longo, perché il mio scopo è quello di creare curiosità, di definire Longo un fine narratore, qualunque sia l'epilogo della storia che mi sta raccontando.
È la bravura a uscire fuori dalle pagine che sto leggendo, ed è quella di cui voglio scrivere. Il romanzo potrà deludermi - anche se non lo credo - ma sarò certo di avere scovato una penna che sa come appoggiarsi sul foglio.
Finalmente.
E tutto questo in Italia, sussuratomi dal lontano Texas, però.




2 commenti:

  1. Allora, l'hai finito?
    Che dice?
    Ragguagliami.

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  2. No. Non lo farò; così come Davide Longo non perde pagine a raccontare il perché della indefinita barbarie italiana, ma si concentra sul cosa.
    La condizione di Leonardo, il protagonista, è solo uno spioncino da cui osservare l'anima nuda degli individui: quando i pilastri della civiltà conosciuta sono ridotti in macerie, buone solo da riciclare per qualcosa di utile alla sopravvivenza. Quella vera. Sete, fame, caldo, freddo, sonno.
    Il resto è nei ricordi, poi nemmeno più in quelli.
    Quando non c'è più niente si può solo iniziare daccapo.
    Così come bisognerebbe fare col libro di Longo dopo averlo finito.

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